è un disturbo in cui l’azoto, disciolto nel sangue e nei tessuti per l’elevata pressione, forma bolle gassose quando questa diminuisce.
I sintomi sono stanchezza e dolore muscolare e articolare.
Nelle forme più gravi, i sintomi possono essere simili a quelli dell’ictus oppure comprendere intorpidimento, formicolio, debolezza delle braccia o delle gambe, instabilità, vertigine, difficoltà respiratorie e dolore al torace.
Il trattamento consiste nell’ossigenoterapia ricompressiva (ad alta pressione o iperbarica).
Limitare la profondità e la durata delle immersioni e la velocità della risalita favorisce la prevenzione.
L’aria è composta essenzialmente da azoto e ossigeno. Dato che l’aria è compressa sotto alta pressione, ogni atto respiratorio preso in profondità contiene molte più molecole rispetto al respiro in superficie. Poiché l’ossigeno è utilizzato continuamente dall’organismo, di solito le molecole extra di ossigeno respirato ad alta pressione non si accumulano. Tuttavia, le molecole extra di azoto si accumulano nel sangue e nei tessuti.
Quando la pressione esterna diminuisce durante la risalita da un’immersione o quando si lascia un ambiente pressurizzato, l’azoto accumulato, che non può essere immediatamente espirato, forma bolle nel sangue e nei tessuti. Queste bolle possono espandersi e danneggiare i tessuti oppure ostruire i vasi in molti organi, sia direttamente sia provocando piccoli trombi. Il blocco dei vasi sanguigni provoca dolore e diversi altri sintomi, ad esempio simili a quelli di un ictus (come debolezza improvvisa in un lato del corpo, difficoltà di linguaggio, capogiri), o persino sintomi simil-influenzali. Le bolle di azoto provocano anche infiammazione, con gonfiore e dolore a carico di muscoli, articolazioni e tendini.
Il rischio di sviluppare la malattia da decompressione aumenta in funzione di molti dei seguenti fattori:
Certi difetti cardiaci, quali il forame ovale pervio o il difetto del setto interatriale
Acqua fredda
Disidratazione
Volare dopo un’immersione
Sforzo fisico
Affaticamento
Aumento della pressione (vale a dire profondità dell’immersione)
Tempo trascorso in un ambiente pressurizzato
Obesità
Età avanzata
Rapidità della risalita
Dato che l’eccesso di azoto rimane disciolto nei tessuti dell’organismo per minimo 12 ore dopo ogni immersione, immersioni ripetute in 1 giorno aumentano il rischio di malattia da decompressione rispetto a una singola immersione. Un viaggio in aereo nelle 12-24 ore successive a un’immersione (come al termine di una vacanza) espone a una pressione atmosferica ancora più bassa, aumentando lievemente il rischio di malattia da decompressione.
Le bolle di azoto si possono formare nei vasi di piccolo calibro o nei tessuti stessi. I tessuti con elevato contenuto lipidico, come quelli del cervello e del midollo spinale, sono particolarmente a rischio perché l’azoto si discioglie rapidamente nei grassi.
La malattia da decompressione di tipo I tende a essere lieve e interessa principalmente le articolazioni, la cute e i vasi linfatici.
Quella di tipo II, che è potenzialmente letale, spesso interessa gli organi vitali, inclusi il cervello e il midollo spinale, l’apparato respiratorio e quello circolatorio.
I sintomi della malattia da decompressione di solito si manifestano più lentamente rispetto a quelli dell’embolia gassosa e del barotrauma polmonare. Soltanto la metà delle persone con malattia da decompressione presenta sintomi entro 1 ora dall’emersione, mentre il 90% presenta sintomi entro 6 ore. I sintomi si sviluppano spesso gradualmente prima di raggiungere il massimo effetto. I primi sintomi possono essere:
Affaticamento
Perdita dell’appetito
Cefalea
Vaga sensazione di malessere
La forma meno grave (forma muscoloscheletrica) della malattia da decompressione, spesso definita sindrome da decompressione, solitamente causa dolore, localizzato in genere nelle articolazioni di braccia o gambe, nella schiena o nei muscoli. Talvolta la sede è difficile da individuare. Il dolore può essere leggero o intermittente in una prima fase, aumentare successivamente in modo costante e divenire grave. Può essere acuto o descritto come “dolore profondo” o come una “sensazione fastidiosa nell’osso”. Peggiora con il movimento.
I sintomi più rari sono prurito, chiazze cutanee, linfonodi ingrossati, eruzioni ed estrema debolezza. Tali sintomi non sono letali, ma possono precedere problemi più gravi.
La forma più grave di malattia da decompressione provoca generalmente sintomi neurologici, che variano da lievi parestesie alla paralisi e alla morte. Il midollo spinale è particolarmente vulnerabile.
I sintomi di un interessamento del midollo spinale possono essere intorpidimento, formicolio o debolezza (o una loro combinazione) delle braccia, delle gambe o di entrambe. La lieve debolezza o il formicolio può progredire nell’arco di ore fino alla paralisi irreversibile. Inoltre si può verificare incapacità a urinare o a controllare la minzione o l’evacuazione. È anche frequente il dolore addominale.
I sintomi di un interessamento cerebrale, la maggior parte dei quali è simile a quelli da embolia gassosa, comprendono:
Cefalea
Stato confusionale
Difficoltà di linguaggio
Diplopia (visione doppia)
La perdita di coscienza è rara.
I sintomi di un interessamento dell’orecchio interno, come gravi vertigini, ronzio nelle orecchie e perdita dell’udito, si manifestano quando sono colpiti i nervi dell’orecchio interno.
I sintomi di un interessamento polmonare, dovuti alle bolle gassose che attraverso le vene raggiungono i polmoni, consistono in tosse, dolore toracico e difficoltà respiratorie in progressivo peggioramento (soffocamento). I casi gravi, rari, possono portare a collasso e morte.
L’osteonecrosi disbarica (talvolta definita osteonecrosi avascolare) può essere un effetto tardivo della malattia da decompressione, ma può verificarsi anche in sua assenza. Comporta la distruzione del tessuto osseo, soprattutto a livello della spalla e dell’anca. L’osteonecrosi disbarica può causare dolore persistente e grave disabilità. Tali lesioni si manifestano raramente nei subacquei sportivi, ma sono più comuni tra le persone che lavorano in ambienti pressurizzati e i sommozzatori che lavorano in habitat subacquei in profondità. Frequentemente, quando si manifestano i sintomi non è possibile identificare l’evento scatenante specifico che li ha causati.
Questi lavoratori sono esposti ad alte pressioni per periodi prolungati e possono sviluppare un episodio non diagnosticato di malattia del palombaro. I tecnici subacquei, che si immergono a profondità superiori a quelle dei subacquei sportivi, possono correre rischi maggiori. L’osteonecrosi disbarica di solito è asintomatica, ma se insorge in prossimità di un’articolazione può gradualmente progredire nel corso di mesi o anni a una grave artrite invalidante. In caso di gravi lesioni articolari verificatesi nel tempo, l’unico trattamento è la protesi articolare.
Problemi neurologici permanenti, come la paralisi parziale, in genere derivano da un trattamento tardivo o inadeguato dei sintomi del midollo spinale. Tuttavia, talvolta il danno è troppo grave per poter essere corretto, perfino con un trattamento appropriato. In alcune persone, talvolta sono utili ripetuti trattamenti con ossigeno in camera iperbarica per guarire una lesione midollare.
Valutazione medica
I medici emettono la diagnosi di malattia da decompressione in base alla natura dei sintomi e all’insorgenza in relazione all’immersione. Esami come la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica per immagini (RMI) mostrano talvolta alterazioni cerebrospinali, ma non sono affidabili. Il trattamento con ricompressione viene iniziato prima di conoscere i risultati di una TC o di una RMI, tranne nei casi in cui la diagnosi è incerta o le condizioni del subacqueo sono stabili. La RMI è solitamente diagnostica per l’osteonecrosi disbarica.
I subacquei tentano di prevenire la malattia da decompressione evitando la formazione di bolle di gas. Ciò è possibile riducendo la profondità e la durata delle immersioni entro limiti che non richiedano soste di decompressione durante la risalita (definiti dai subacquei limiti “no-stop”), oppure risalendo con soste di decompressione specificate nelle linee guida ufficiali, come la tabella di decompressione presente nel capitolo relativo alla decompressione dello United States Navy Diving Manual,
che stabilisce un programma di risalita che normalmente permette di eliminare l’eccesso di azoto senza danni. Molti subacquei attualmente indossano un apposito computer portatile che riporta continuamente la profondità e il tempo trascorso sott’acqua. Il computer calcola la tabella di decompressione per un’emersione sicura e indica quando sono necessarie le soste di decompressione.
Oltre a seguire una tabella o le indicazioni del computer per la risalita, molti subacquei fanno una sosta di sicurezza di qualche minuto a circa 4,5 metri sotto la superficie.
L’uso di queste procedure, tuttavia, non elimina il rischio di malattia da decompressione. Un piccolo numero di casi di malattia da decompressione si manifesta dopo immersioni no-stop. La persistenza della malattia da decompressione può essere dovuta al fatto che le tabelle e i programmi computerizzati non tengono conto, in modo completo, delle variazioni nei fattori di rischio tra i diversi subacquei o perché alcune persone non si attengono alle indicazioni.
Sono necessarie anche ulteriori precauzioni:
Dopo diversi giorni di immersione, è consigliato un periodo di 12-24 ore in superficie (ad esempio 15 ore) prima di prendere un aereo o recarsi in alta quota.
Le persone completamente guarite da una forma lieve di malattia da decompressione devono astenersi dalle immersioni per almeno 2 settimane. In caso di una forma grave di malattia da decompressione, è meglio attendere più a lungo (almeno un mese) e sottoporsi a una valutazione medica prima di immergersi nuovamente.
Coloro che hanno sviluppato la malattia da decompressione nonostante abbiano seguito le tabelle o il computer possono tornare a praticare immersioni solo dopo una completa valutazione medica per i fattori di rischio di base, come un difetto cardiaco.
Prendere un aereo nelle 12-24 ore successive a un’immersione (situazione comune in vacanza) aumenta il rischio di malattia da decompressione.
Ossigeno
A volte una terapia di ricompressione
L’80% circa dei pazienti guarisce completamente.
I subacquei che presentano esclusivamente prurito, chiazze cutanee e debolezza, di solito non necessitano di ricompressione, ma devono essere tenuti sotto controllo, poiché possono svilupparsi problemi più gravi. L’ossigeno al 100%, somministrato mediante una maschera facciale ben aderente, migliora la sintomatologia.
Qualsiasi altro sintomo di malattia da decompressione indica la necessità di trattamento in una camera ad alta pressione (di ricompressione o iperbarica), perché la terapia di ricompressione ripristina il normale flusso di sangue e di ossigeno nei tessuti interessati. Dopo la ricompressione, la pressione viene gradualmente ridotta, a intervalli programmati, per rimuovere il gas in eccesso senza causare alcun danno. I sintomi possono recidivare o peggiorare nelle prime 24 ore, per tale motivo vengono trattati anche persone con dolore lieve o transitorio, o con sintomi neurologici.
La ricompressione è efficace fino a 48 ore dopo un’immersione e deve essere eseguita anche in caso di un lungo viaggio per raggiungere la camera iperbarica più vicina. Nell’attesa e durante il trasporto, si somministra ossigeno con una maschera facciale ben aderente, in aggiunta ai liquidi somministrati per via orale o endovenosa. Un trattamento tardivo aumenta il rischio di lesioni permanenti.