Pinne, pinne, pinne. Come sceglierle?
Ce ne sono talmente tante in giro che, per chi si avvicina agli sport subacquei per la prima volta, la scelta dell’attrezzo da infilare ai piedi non è affatto triviale.
E allora districhiamo la matassa (di pinne), senza pretesa di completezza, sia chiaro, con l’aiuto di un rude grafico. Che riporta una discutibilissima tassonomia della grande famiglia delle pinne, con l’uso verosimilmente più indicato per ciascuna tipologia di attrezzo.
Superiamo il bivio tra l’affascinante “caso speciale” della monopinna (mon amour, torneremo da te alla fine) e la più tradizionale bipinna e concentriamoci su quest’ultima.
Occupiamoci delle caratteristiche fondamentali. Ovvero: pala e scarpetta.
Ha tre caratteristiche fondamentali. Analizziamole.
Dimensioni – Possono essere alternativamente cortissime (da nuoto, o per uso militare, dovendo in tal caso risultare poco ingombranti nelle azioni di commando), corte (da snorkeling, o per immersioni ARA “entry-level”), medie (per lo più destinate a immersioni ARA), lunghe (nate per l’apnea, ma relativamente popolari nel mondo ARA).
Approssimativamente, funziona così: a parità di forma e materiale, più una pinna è lunga, più è in grado di offrire propulsione. Naturalmente, al prezzo di maggior fatica, visto che nulla viene gratis quando c’è in ballo il moto e la trasformazione dell’energia.
Inoltre, più sono lunghe le pale, più sono ingombranti, nel trasporto e in barca, va da sé. Per chi viaggia molto è un punto da tenere presente. Per non parlare dell’ingombro in grotte e caverne, dove il rischio di sollevare sedimenti è abbastanza alto, se non si è bravi a controllare il movimento.
Materiale della pala – La pala può essere in gomma, in polimero, cioè in plastica, o in fibra, oppure in carbonio (ho visto pure dei modelli prototipali in metallo, ma lascerei perdere). Da un punto di vista meccanico, l’ordine con cui le ho presentate corrisponde generalmente alla risposta elastica, cioè la spinta che la pala vi restituisce dopo averla piegata durante la pinneggiata, facendovi così avanzare. Maggiore è la risposta elastica, meno energia andrà dispersa, cioè sprecata. Quindi, a parità di tutto il resto, una pinna con pala in carbonio, oppure in fibra, è molto più performante di una in gomma o plastica. Ecco perché un apneista svezzato usa quasi sempre pale in fibra o in carbonio (l’apnea ha una componente atletica e di prestazione, presente anche quando la si pratica per puro piacere, che sarebbe ipocrita negare).Carbonio e fibra non solo “rispondono bene”, ma sono anche molto fragili.
Per capirci: un’entrata con passo del gigante e un paio di pinne in carbonio da 500 euro sono morte. E questa è la ragione per cui non sono praticamente utilizzate nel mondo “scuba”, nel quale conta (molto) meno la performance, ma assai di più la robustezza, visto il maltrattamento al quale viene spesso sottoposta l’attrezzatura. Le pinne devono poter essere lanciate in testa al compagno dalla parte opposta della barca, giusto?
Ampiezza della pala – Può essere più o meno ampia. Di base, più è ampia la superficie, maggiore sarà la spinta, e la forza necessaria per produrla (perdonate l’approssimazione, ma vado sulla sostanza bruta).
Una pala troppo ampia, comunque, renderebbe difficile e meno naturale la pinneggiata, che avverrebbe a gambe divaricate. Un’ineleganza imperdonabile, oltretutto.
Le pinne da apnea sono generalmente lunghe e strette, quelle da scuba un po’ più larghe, talvolta con aperture nella zona mediana della pala. Sinceramente (e ora verrò coperto di insulti) nutro dubbi sull’efficacia di tali aperture, visto che non ho mai visto pinne o monopinne da apnea con tali aperture, e il freediving sta allo scuba come l’arrampicata sportiva sta all’escursionismo (ripeto, insultatemi pure, ma io li pratico entrambi, li amo entrambi, e sono finanche istruttore e guida): se le aperture migliorassero l’efficacia o l’efficienza della pinneggiata, chi fa i record utilizzerebbe pinne e monopinne di tale fattura, o no? Sono pronto ad assorbire una spiegazione scientifica, e non di marketing, conti alla mano, che mi dimostri l’efficacia di quelle aperture. Davvero. Chiuso l’argomento, scusate.
Può essere di due tipi: chiusa, o aperta. Approfondiamo un minimo.
Aperta – Si allaccia tramite un cinghiolo, o una molla. Queste sono le pinne più usate nell’immersione con autorespiratore, perché estremamente pratiche nel trasporto e comode da indossare quando si ha tutta l’attrezzatura addosso. Non si usano in apnea per la loro scarsa efficienza, ma con l’ARA ciò ha assai meno importanza.
Queste pinne richiedono di indossare calzari a suola rigida (tipo stivaletti), peraltro utili per camminare prima e dopo l’immersione, specie se da riva.
Ancora una cosa: i cinghioli di gomma sono più fragili di quelli a molla (generalmente ad alta resistenza) ed è bene avere un ricambio a disposizione. Inoltre, le molle di solito non richiedono alcuna regolazione.
Chiusa – Le pinne a scarpetta chiusa sono di solito realizzate in gomma, magari di differenti mescole in quelle più sofisticate, e non sono ovviamente regolabili. Possono essere indossate con calzari morbidi (tipo calzino), ma non richiedono necessariamente i calzari.
Le pinne a scarpetta generalmente sono, a parità di altre condizioni, più performanti: questo perché la pinna è un tutt’uno con piede e gamba. In apnea si usano bipinne o monopinne a scarpetta (a volte aperte sotto il tallone), e si cerca la prestazione, sicché la scarpetta è chiusa. Proprio come uno scarpone da sci alpino per uso agonistico. L’attrezzo spesso fa male, “deve fare male”, per risultare un’estensione degli arti inferiori.
Al di là delle pinne da apnea, le pinne a scarpetta – con pala corta e media – vengono per lo più impiegate nello snorkeling o nelle immersioni poco impegnative. Tuttavia, come dicevo prima, molti subacquei con ARA utilizzano pinne da apnea a scarpetta chiusa con pala lunga in plastica: per indossarle con l’attrezzatura occorre un minimo di destrezza e agilità. Tenetelo a mente, nel caso vogliate acquistarle.
È un attrezzo usato esclusivamente in apnea – personalmente adoro la mono, sia per le prestazioni che per le sensazioni – anche se un paio di volte in giro per il mondo ho incontrato matti che la usavano con le bombole…
Le precedenti considerazioni su materiali, lunghezza e ampiezza della pala valgono in buona parte anche per la monopinna, la cui azione è però diversa da quella delle due pinne; per questo entrano in gioco altri fattori, quali ad esempio la forma della parte terminale, le differenti mescole della scarpetta e l’importantissimo angolo tra pala e piede. Comunque non mi dilungo, tranquilli.
Fine di questa panoramica sul mondo delle pinne, dedicata specialmente a chi è un po’ confuso dall’argomento e magari bada più all’estetica che alla sostanza. Giunti in fondo, spero risulti chiara una cosa: non esistendo la “pinna perfetta”, occorre acquistare uno o più attrezzi da utilizzare in funzione delle condizioni d’impiego e delle proprie caratteristiche.
Naturalmente in base alle caratteristiche tecniche dell’attrezzo.