è un'apparecchiatura per la respirazione indipendente dall'ambiente circostante nota soprattutto per l'uso nelle immersioni subacquee. Tali apparecchiature tuttavia sono molto diffuse anche in ambienti lavorativi particolari quali miniere, corpi di Vigili del Fuoco, ecc., dove per emergenza o necessità è necessario disporre di una fonte d'aria respirabile dotata di un'elevata autonomia e peso ridotto. Queste macchine possono essere a circuito completamente chiuso oppure a circuito semichiuso.
Il principio di funzionamento generale è pressoché identico in tutti i tipi di rebreather. Il nostro organismo ha bisogno di ossigeno per le funzioni metaboliche, il consumo di ossigeno tuttavia è indipendente dalla profondità anche se il volume respirato aumenta con la pressione. Si ha una variazione di consumo di ossigeno dipendente solo dal lavoro svolto. Per meglio comprendere tale sistema prendiamo ad esempio la respirazione con un normale circuito aperto (bombola con erogatore): come noto l'aria è composta dal 79% di azoto, dal 20,8% di ossigeno e da una percentuale di altri gas (elio, neon, argon, anidride carbonica). Respirando a circuito aperto, ad ogni inspirazione immettiamo nei nostri polmoni una certa quantità di ossigeno, ben oltre comunque il nostro fabbisogno e quando espiriamo lasciamo sfuggire una parte di ossigeno che potremmo riutilizzare. Il rebreather, a prescindere dal principio di funzionamento, recupera una parte o tutto il gas espirato che altrimenti verrebbe liberato nell'ambiente consentendoci una autonomia molto maggiore a parità di gas trasportato.
Per poter recuperare e riutilizzare il gas espirato, è necessario tuttavia filtrarlo dal biossido di carbonio prodotto dal nostro metabolismo, per fare ciò viene utilizzato un sistema filtrante, che contiene un composto chimico chiamato "calce sodata" (composto da idrossido di calcio e idrossido di sodio) o nei modelli più evoluti da molecole di sintesi, che ha la proprietà di fissare l'anidride carbonica che lo attraversa. Per tale motivo in ogni rebreather vi è un filtro (chiamato anche canister o capsula) che contiene una certa quantità di tale materiale (mediamente da 1,5 a 4 kg). Il rebreather ha uno o due sacchi polmone, collegati al boccaglio per mezzo di tubi di grossa sezione (detti corrugati) attraverso i quali passa il gas espirato ed inspirato. Generalmente tra i due sacchi si trova il filtro di calce sodata. Il gas espirato, pur contenendo ancora una certa percentuale di ossigeno, deve essere miscelato con nuovo ossigeno o nuova miscela respiratoria per poter essere riutilizzato dal subacqueo. Il sistema per ripristinare tale percentuale di ossigeno determina il principio di funzionamento dell'apparecchio.
In un circuito chiuso non vi sono (normalmente) fuoriuscite di gas dall'apparecchio e quindi nessuna produzione di bolle. In un semichiuso invece una parte di gas viene espulsa dalla macchina con frequenza costante.
Detti CCR (Closed Circuit Rebreather). Con i rebreathers chiusi, siano essi elettronici o manuali, si possono raggiungere elevate profondità (anche ben oltre i 100 m) grazie al fatto che è possibile variare la percentuale di ossigeno presente nella miscela ed al fatto che quest'ultima può contenere elio (che limita i problemi di narcosi da azoto oltre i 30 m). Sono molto apprezzati anche per la silenziosità e l'assenza di bolle che permette di non spaventare i pesci.
Circuito chiuso a ossigeno puro
Lo stesso argomento in dettaglio: Autorespiratore ad ossigeno.
Comunemente detti ARO (autorespiratore ad ossigeno), sono stati i primi rebreather ad essere costruiti. Si tratta del tipo più semplice di rebreather e non vi è alcuna parte elettronica. Il sacco polmone viene riempito di ossigeno puro e respirato dal sub, vi sono per questo motivo pesanti limitazioni sulla profondità di utilizzo a causa della tossicità dell'ossigeno. Attualmente la profondità massima consigliata (ppO2 1,6 bar) è di 6 m, ma in passato, specie in ambito militare, veniva usato a profondità ben superiori e gli incidenti erano frequenti.
Quando il sub espira nel sacco, la capsula provvede ad assorbire la CO2 e quindi si avrà una progressiva diminuzione del volume di ossigeno presente nel sacco. Periodicamente, per evitare che il sacco collassi non consentendo più la respirazione, il sub in modo manuale (esistono anche apparecchi automatici) immette ossigeno puro attraverso un rubinetto chiamato bypass. Questo apparecchio è caratterizzato da una lunghissima autonomia (fino a 6 ore di immersione continua), estrema compattezza e da una notevole silenziosità.
Circuito chiuso a controllo elettronico
Sono detti ECCR (Electronic Closed Circuit Rebreathers) e si tratta di dispositivi a miscela controllati da sensori di ossigeno elettrochimici con automatismo elettronico.
In questa macchina, che utilizza di solito due bombole (una di ossigeno puro ed una di "diluente", ovvero una miscela di gas che può essere anche aria) il gas contenuto nella bombola di diluente serve solo come "volume da respirare", mentre man mano che l'ossigeno viene consumato, vi è una immissione di quest'ultimo gas attraverso un sistema elettronico. Detto sistema utilizza dei sensori per ossigeno che misurano la percentuale di ossigeno presente nella miscela e se questo scende sotto un valore predeterminato (detto set-point) provvede ad azionare automaticamente una elettrovalvola (detta in gergo solenoide) che lascia entrare una parte di ossigeno dalla bombola che lo contiene. Peculiarità di detti apparecchi, oltre al costo elevato, è il fatto che richiedono uno specifico addestramento.
Circuito chiuso a controllo manuale
Sono detti MCCR (Manual Closed Circuit Rebreathers) e si tratta di dispositivi a miscela a controllo elettrochimico manuale.
Il principio di funzionamento è in tutto e per tutto simile al chiuso elettronico, tuttavia in questi apparecchi i sensori per ossigeno, rappresentano le loro letture su un display. Questi dati vengono periodicamente letti dal subacqueo e quando le letture scendono sotto un valore prefissato il sub stesso interviene in maniera manuale con un bypass lasciando entrare una certa quantità di ossigeno.
Circuito chiuso a controllo manuale
Sono detti MCCR (Manual Closed Circuit Rebreathers) e si tratta di dispositivi a miscela a controllo elettrochimico manuale.
Il principio di funzionamento è in tutto e per tutto simile al chiuso elettronico, tuttavia in questi apparecchi i sensori per ossigeno, rappresentano le loro letture su un display. Questi dati vengono periodicamente letti dal subacqueo e quando le letture scendono sotto un valore prefissato il sub stesso interviene in maniera manuale con un bypass lasciando entrare una certa quantità di ossigeno.
Circuito chiuso ad addizione chimica
Sono detti CCCR (Chemical Closed Circuit Rebreathers) e si tratta di dispositivi a miscela a controllo chimico.
Tali apparecchi sono nati in Unione Sovietica fin dagli anni cinquanta, la loro particolarità consiste nell'avere, in parallelo al filtro della calce, un contenitore di perossido di sodio. Tale composto ha la particolarità di produrre ossigeno in modo direttamente proporzionale al CO2 assorbito. Potrebbe sembrare il sistema ideale ma l'uso presenta notevoli rischi. Il perossido infatti è esplosivo se viene in contatto con l'acqua e generalmente è stabilizzato con amianto. Come noto l'incendio alla stazione spaziale Mir è stato causato proprio dal perossido di sodio. Questi apparati sono prodotti quasi esclusivamente in Russia e non hanno alcuna (se non ai fini di collezionismo) diffusione nel mondo occidentale a causa del fatto che sono generalmente ritenuti pericolosi.
Detti SCR (Semiclosed Circuit Rebreather). In questi apparati l'ossigeno consumato dal metabolismo è fornito mediante un continuo ricambio della miscela presente nel circuito respiratorio, pertanto una parte di questa deve essere dispersa nell'ambiente esterno: di qui il nome "semichiuso". Come nei circuiti chiusi il biossido di carbonio prodotto dal metabolismo è eliminato dalla calce sodata.
Esistono due sistemi per il ricambio della miscela: uno è detto a flusso continuo o alimentazione attiva, l'altro è detto ad alimentazione passiva. Tutti e due sistemi sono alimentati da una o più bombole caricate con miscele preconfezionate.
Sistemi a Flusso Continuo - Alimentazione Attiva.
In questi sistemi il ricambio della miscela presente nel circuito respiratorio si realizza mediante un ugello che inietta un flusso continuo di gas proveniente dalla bombola, il gas in eccesso è disperso nell'ambiente esterno da un'apposita valvola posta in genere sul sacco polmone di espirazione o comunque su un punto opportuno del circuito respiratorio.
In questi sistemi il valore del flusso è strettamente legato alla composizione della miscela presente nella bombola.
Gli ugelli possono esser fissi, quindi uno per ogni tipo di miscela, o regolabili in modo che lo stesso ugello possa essere impostato in funzione del tipo di miscela impiegato.
In genere questi apparati fanno uso di miscele Nitrox, ma si possono anche usare miscele Trimix (es.apparato modello Azimuth AF) o Heliox (es.apparato Drager FGG III), bisogna tener conto, però, che ogni tipo di miscela richiede un particolare valore del flusso, quindi un ugello dedicato o una particolare impostazione di un ugello regolabile.
Sistemi a flusso continuo Premiscelati e Automiscelanti
I sistemi a flusso continuo si dividono in premiscelati ed automiscelanti. Nei sistemi premiscelati impiegano un unico flusso di miscela, mentre nei sistemi automiscelanti vi sono due flussi erogati da due ugelli ove almeno uno eroga un flusso variabile in funzione della profondità, in tal modo la composizione della miscela dipende dall'effetto combinato dei due flussi ed è variabile con la profondità. Lo scopo dei sistemi automiscelanti è quello di cercare di ottimizzare la miscela risultante in funzione profondità.
Premiscelati a massa costante
Si tratta di apparecchi, generalmente dotati di una sola bombola di gas primario (quello utilizzato dal circuito respiratorio), che generalmente è un nitrox nel quale la percentuale di ossigeno presente è stabilita in base alla profondità che si vuole raggiungere. Il gas, attraverso un sistema meccanico chiamato "dosatore" lascia entrare nel circuito respiratorio un flusso continuo di gas che deve rinnovare la miscela presente, il sub respirando consuma una parte dell'ossigeno presente nella miscela. Per tale motivo la percentuale di ossigeno presente nel circuito è quasi sempre inferiore alla percentuale contenuta nella bombola e dipende dal lavoro svolto (ovvero dal consumo metabolico di ossigeno). Appartengono a questa categoria la maggior parte dei rebreather semichiusi presenti sul mercato.
Automiscelanti a massa costante
Questi apparecchi hanno lo stesso principio di funzionamento dei semichiusi descritti sopra, l'unica differenza è che il gas non è premiscelato, l'apparecchio ha infatti due (o più) bombole contenenti una ossigeno e l'altra un altro gas (generalmente nitrox o anche aria). Il vantaggio rispetto al tipo precedente è che pur ottenendo una complessità costruttiva maggiore, si può decidere la profondità operativa in maniera continua senza necessariamente cambiare il gas primario come nei rebreather sopra descritti. Tali apparecchi, tuttavia, proprio a causa della loro complessità, non hanno trovato una notevole diffusione.
Premiscelati ad addizione passiva
I PASCR (Passive Addition Semi Closed Rebreather). In queste macchine ad ogni inspirazione, grazie ad un sistema meccanico, vi è una piccola espulsione di gas "vecchio" che viene rimpiazzato dal gas proveniente dalle bombole.
Questi apparato possono impiegare miscele Nitrox e Trimix, con il sistema ad alimentazione passiva il passaggio da una miscela all'altra è molto semplice anche in immersione: ciò costituisce un vantaggio rispetto ai sistemi a flusso continuo nei quali è necessario cambiare ugello o impostazione in funzione del tipo di miscela impiegata, cosa che non può essere fatta in immersione.
ScubaPortal11/04/2018Immersioni, Medicina E Tecnica2
Molte attrezzature per l’immersione tecnica ci appaiono diverse da quelle usate nell’immersione ricreativa, ma i principi di funzionamento sono gli stessi.
L’unico è il rebreather a rovesciare molte regole di base, togliendo alcuni limiti, introducendo nuove complicazioni.
Di base il rebreather (per gli amici reb) ricicla i gas espirati, eliminando l’anidride carbonica prodotta dalla respirazione del sub. Il vantaggio principale è una maggiore efficienza nell’uso dei gas. Infatti quando respiriamo aria in superficie utilizziamo circa il 4% dell’ossigeno presente per il nostro metabolismo, e espiriamo il resto, assieme all’azoto. In altre parole il 96% del gas utile per la respirazione se ne va con le bolle.
In profondità è ancora peggio, perché con la pressione ogni respiro contiene aria più densa, come se il volume fosse maggiore. A 40 m respiriamo 5 volte il volume equivalente (paragonato alla superficie), a 90 m 10 volte. Ad ogni espirazione il gas prezioso se ne va in bolle: sprechiamo 10 volte più O2. Questo è un motivo per cui nell’immersione a circuito aperto la pianificazione e il ritmo respiratorio sono fattori critici.
Il reb aggira il problema riproponendoci più volte il gas espirato. Gli sprechi sono ridotti e il sub ha bisogno di una quantità assoluta di gas minore. Il suo funzionamento è basato sul recupero del gas espirato, cui viene aggiunta ogni volta solo la piccola frazione di ossigeno effettivamente utilizzata.
Con almeno 3 benefici per il sub tecnico.
Si reduce il bisogno di portare con sé una grande riserva di gas. La quantità di ossigeno di cui il nostro corpo necessita cambia poco con la profondità, di conseguenza l’ O2 durerà lo stesso tempo, a 20 m come a 100 m. L’ O2 espirato è riciclato. Insomma, invece di un bibo da 20+20 l, due bombole da 3 l saranno sufficienti.
Mentre nell’immersione a circuito aperto più andiamo profondi e più dobbiamo aumentare il volume delle bombole, con il rebreather il volume del gas non è più un fattore limitante. L’esaurimento del gas non è il problema principale, i fattori critici diventano la durata della decompressione, la saturazione del filtro che assorbe l’anidride carbonica, la tossicità dell’ossigeno.
Uno dei fattori principali che può incidere nella decisione di passare al reb o no è il costo. Con due aspetti contrastanti, il costo di acquisto e manutenzione dell’apparecchio, e il costo di ogni immersione.
Consideriamo che caricare un bibo a trimix può costare da 35 € per una miscela debole, da usare a 40 m, fino a oltre 100 € per una miscela buona per immersioni attorno ai 100 m.
Le piccole bombole del reb si ricaricano a un prezzo molto minore. In altre parole il reb ci fa risparmiare sulle ricariche, però dobbiamo considerare il costo iniziale, che secondo il modello può variare tra 2.000 e 15.000 €. Si può risparmiare comprando di seconda mano.
A questo dobbiamo aggiungere il corso (un altro migliaio di euro), e qualche attrezzatura extra.
Ovviamente ci vuole un sacco di immersioni in trimix per ammortizzare l’esborso iniziale, cosa che la maggior parte dei sub non fa. Il rebreather può diventare conveniente per chi fa oltre 20 immersioni in trimix all’anno. Le immersioni ricreative possono anche costare di più col rebreather. Infatti mentre a circuito aperto pagheresti la sola ricarica di aria, col rebreather anche per un’immersione superficiale hai bisogno di ossigeno puro in una bombola e del filtro per l’anidride carbonica. Ogni anno bisogna cambiare i 3 sensori per l’O2, la batteria va controllata. Insomma, un’immersione ricreativa costa di più a un sub col rebreather.
La logistica relativa ai gas respiratori risulta notevolmente semplificata dal rebreather nelle spedizioni lunghe. Chi va a circuito aperto dovrà prevedere un bibo 12+12 l, 15+15 l o anche 18+18 l per ogni immersione in trimix. A questo dovrà aggiungere fino a 4 diverse bombole-stage per le miscele decompressive, il che richiede molto elio e ossigeno per ogni giornata, ricariche, spese, consumo di tempo e di lavoro.
La logistica delle ricariche è molto semplificata dall’uso del rebreather. Ovviamente i volumi di gas sono molto ridotti, devo ricaricare una sola bombola da 3 l, diventa facile portare con sé tutto il gas che serve per una settimana di immersioni. Si eliminano gli sprechi, la perdita di elio e ossigeno con le bolle, e la strada da fare per ricaricare le bombole. E pensate se nella zona non ci sono stazioni di ricarica…
Naturalmente sto assumendo che il rebreather non dia problemi. Solo per prevenire problemi col rebreather dobbiamo portare in acqua una bombola di riserva che possiamo usare iniziando dalla massima profondità programmata e che possa arrivare in superficie con una decompressione completa. Il sub con rebreather non userà la bombola di rispetto che in caso di emergenza, ma comunque deve portarla con sé. Se non succedono imprevisti non dovrà ricaricarla.
Col rebreather la necessità di soste di decompressione è ridotta se facciamo il paragone con la stessa immersione a circuito aperto.
Un sub che usi un bibo deve caricare una bombola in più per la deco con una percentuale di ossigeno più alta, in modo da ridurre la quantità di gas inerte assorbita e da permettere il rilascio veloce del gas inerte assorbito. Però entrambe le scelte (miscela principale e miscela per la deco) saranno il risultato di un compromesso. Il gas principale dovrà essere più ricco possibile, ma con un piccolo margine nel caso l’immersione sia un poco più profonda di quanto pianificato. Ma durante il tempo trascorso a profondità intermedie la miscela non sarà quella ottimale. E allo stesso modo la miscela decompressiva sarà la migliore possibile solo alla profondità prevista per il cambio. Prima del cambio il sub avrebbe potuto respirare una miscela più povera di quella del bibo, mentre durante le ultime soste una più ricca avrebbe permesso una desaturazione più veloce.
Il reb non ha questi problemi, perché aggiusta costantemente la miscela erogata in base alla profondità. Il rebreather (o il sub nel caso di unità manuali) man mano che si sale aggiunge ossigeno, in modo che ad ogni profondità la miscela contiene il massimo di O2, il che accelera la desaturazione e riduce la deco.
Per avere lo stesso risultato il sub a circuito aperto dovrebbe cambiare miscela a ogni metro in risalita. Per questa ragione il rebreather a volte è soprannominato generatore di miscele.
Insomma, il reb ha molti punti a favore rispetto al circuito aperto. Ma ha anche costi addizionali, rischi e complicazioni: non dobbiamo pensarlo come la bacchetta magica che risolve tutti i problemi dell’immersione tecnica profonda.
Oltre al costo, già esaminato, ci sono rischi che sono conseguenza dell’uso di un rebreather.
Tutte le volte che espiriamo, oltre all’ossigeno non usato e al gas inerte, emettiamo anidride carbonica (CO2). Se il filtro non rimuove l’anidride carbonica, questa si accumula e può diventare tossica. L’avvelenamento da CO2 è uno dei rischi maggiori. La corretta preparazione del filtro è cruciale, perché in un filtro preparato male la CO2 scorre attraverso senza essere rimossa e si accumula. I sintomi di avvelenamento da CO2 includono mal di testa, difficoltà di concentrazione, svenimento e morte. Il sub colpito può rimanere inconsapevole o incapace a rispondere.
L’esaurimento del materiale filtrante è un’altra causa di avvelenamento, è vitale controllarlo e sostituirlo entro i tempi suggeriti.
Se il sub ha un minimo dubbio di poter incorrere in avvelenamento da CO2 dovrebbe subito passare a una sorgente alternativa di gas (ecco perché i sub con rebreather spesso portano con sé una bombola di riserva a circuito aperto). Molti rebreathers hanno una Bail Out Valve (BOV – Valvola di Salvataggio) che permette di cambiare da circuito chiuso a circuito aperto spostando una leva.
Ovviamente questo esclude il riciclo ma apre il problema di esaurire una limitata riserva di gas: perciò un reb non è la soluzione finale per l’immersione tecnica profonda. Il sub dovrebbe portare con sé abbastanza gas da poter completare la deco, in altre parole la stessa quantità di gas che un sub a circuito aperto porta con sé.
L’alternativa è affidarsi al cosiddetto approccio dell’alpinista, che assume che ogni problema possa essere prevenuto con una manutenzione accurata e gestito con l’unità reb, senza ricorrere al circuito aperto.
L’altro grosso problema può essere dato dalla pressione dell’ossigeno. La pressione parziale dell’O2 viene mantenuta sempre entro i valori corretti per via elettronica o manuale, anche se in ogni caso è sempre responsabilità del sub controllarla. Tutti i reb infatti hanno uno strumento che mostra la pressione parziale dell’O2 nella miscela respirata in ogni momento, detto HUD (Head Up Display). Durante l’immersione la pp O2 deve oscillare tra 1.0 e 1.4 bar. Al di sopra di questo intervallo l’ossigeno diventa tossico, al di sotto invece si può arrivare all’ipossia e allo svenimento (blackout).
Insomma, un reb utilizza attrezzature complicate, che richiedono cura e precisione in ogni fase. La preparazione richiede più tempo rispetto alla preparazione di una immersione a circuito aperto.
Un problema può insorgere prima dell’immersione (che viene abortita) o durante (caso più serio). Un corso per rebreather copre tutta questa casistica in dettaglio, ma uno dei pericoli maggiori è l’eccesso di sicurezza. Man mano che i sub crescono in esperienza, iniziano a prendere scorciatoie o a trascurare passaggi essenziali per abbreviare le procedure. Tipicamente l’eccesso di sicurezza colpisce i sub che hanno almeno 50 ore di esperienza.
Anche se non mi farà risparmiare denaro né tempo, mi restano altre buone ragioni per prendere un reb. Intanto l’immersione è un hobby, non devo giustificare tutto sulla base dei costi. L’opzione meno costosa sarebbe non immergersi, cosa che non siamo disposti a considerare. Molti spendono soldi per la moto, il cavallo, l’home cinema, la modellistica: perché io non dovrei spenderli in un reb, se lo voglio? In fondo è una sfida, è imparare qualcosa di nuovo.
Ci sono pro e contro, o meglio, ci sono sub più adatti di altri per passare al rebreather.
Il reb è complicato: anche se usarlo non è difficile, la manutenzione che richiede è molto maggiore di un circuito aperto.
Il reb non è per chi butta l’attrezzatura nel baule della macchina e ce la lascia fino all’immersione successiva, a meno che questo riesca a responsabilizzarsi nella manutenzione.
Secondo me sono più adatti a possederne uno quei sub che hanno piacere a tenere pulita e a fare una manutenzione regolare della loro attrezzatura. Quelli che traggono piacere dalla manutenzione quasi come dall’immersione, che vedono la cura dell’attrezzatura come una parte del loro hobby. Ecco i tipi da reb.
Il reb richiede disciplina anche durante l’immersione. Ci vuole l’atteggiamento mentale giusto per verificare ogni volta che l’unità è montata correttamente, e che tutti i controlli siano eseguiti. La maggior parte degli incidenti capita a chi non segue le procedure. Incluso non immergersi se si nota un piccolo problema. Ma qui subentra spesso l’eccesso di sicurezza, e molti si immergono lo stesso sapendo che il loro reb ha un problema, confidando nel fatto che lo conoscono e sanno come comportarsi. Ed ecco che un problema imprevisto che si manifesta in immersione, può sommarsi al primo e renderlo irrisolvibile. Ci vuole disciplina per rinunciare a un’immersione, ma ricordiamo sempre che la troppa sicurezza è alla base degli incidenti più gravi.
In immersione il reb va continuamente monitorato. La regola d’oro è: “conoscere sempre la propria pressione parziale”. Non importa se siamo a 10 o a 100 m, il livello di controllo deve essere lo stesso, con il reb non esiste “prendiamo la bombola, andiamo solo a 10 m”.
Il sub con il rebreather deve conoscere e dominare una serie di abilità che vanno oltre quelle della subacquea a circuito aperto, alcune collegate a operazioni di routine e altre a eventi di emergenza. Bisogna fare pratica per mantenerle. Alcune, come il controllo del galleggiamento, vanno reimparate daccapo, il che può essere frustrante ma è necessario. E poi vanno messe in pratica con regolarità.
Alla fine è per queste ragioni che non tutti i sub tecnici sono passati al reb. Per alcuni è una via essenziale per progredire, per altri si porta dietro svantaggi troppo pesanti.
Per profondità comprese tra 30 e 80 m l’immersione tecnica a circuito aperto rimane l’opzione più comoda. Oltre gli 80 m entriamo nel campo in cui il reb diventa la prima scelta. Ci sono motivi personali per scegliere il circuito aperto o chiuso, ma prima devi decidere se hai buone ragioni per usare il reb e poi se hai l’atteggiamento mentale giusto.