I problemi che insorgono durante le immersioni possono essere dovuti agli effetti tossici dei gas come azoto, ossigeno, anidride carbonica e monossido di carbonio.
L’aria è una miscela di gas, composta soprattutto da azoto e ossigeno e da una quantità minima di altri gas. Ogni gas ha una pressione parziale, basata sulla concentrazione nell’aria e sulla pressione atmosferica. Ossigeno e azoto possono avere effetti nocivi a pressioni parziali elevate.
La tossicità da ossigeno si manifesta nella maggior parte delle persone quando la pressione parziale di ossigeno raggiunge valori pari o superiori a 1,4 atmosfere, equivalenti a una profondità di circa 57 metri respirando aria (profondità minori respirando ossigeno in concentrazioni superiori al 20%). Sebbene la tossicità da ossigeno si verifichi raramente in una camera iperbarica, i subacquei che utilizzano concentrazioni di ossigeno inadeguate durante le immersioni in profondità sono a maggiore rischio.
I sintomi sono formicolio, convulsioni focali (come spasmi della bocca, delle labbra o degli arti di un lato), vertigini, nausea e vomito e riduzione del campo visivo (visione tubolare). In circa il 10% dei casi si manifestano convulsioni o lipotimie, che solitamente provocano l’annegamento.
Per prevenire la tossicità da ossigeno durante le immersioni in profondità si devono utilizzare speciali miscele gassose ed è richiesto un addestramento specifico.
La tossicità polmonare (pulmonary toxicity) si manifesta principalmente con tosse e difficoltà respiratoria, come se si trattasse di una polmonite, ed è dovuta ad una troppo prolungata esposizione ad elevate pressioni parziali di ossigeno (ad esempio, la respirazione continuativa, per numerosi giorni, di ossigeno alla PpO2 maggiore di 0,7 bar).
I sintomi sono graduali ed appaiono normalmente dopo l’immersione (contrariamente al CNS), la guarigione, inoltre, non presenta problemi anche se l’esposizione è stata estremamente protratta.
Generalmente nella subacquea ricreativa non si verificano le condizioni per le quali si manifesta la tossicità polmonare.
Un’esposizione a pressioni parziali di ossigeno superiori a 0,5 bar per un tempo eccessivo è dannosa al sistema respiratorio.
Come si diceva sopra, sono state introdotte varie unità di misura della tossicità polmonare dell’ossigeno e fra queste è importante l’unità tossico polmonare (Unit Pulmunary Toxicity Dose) o OTU (Oxygen Tolerance Unit).
Il calcolo dell’OTU è basato su dati empirici, dai quali è stata tratta la formula:
OTU = 0,83 x t (PO2- 0,5) / 0,5
dove:
- t è il tempo di esposizione in minuti
- PO2 è la pressione parziale dell’Ossigeno respirato in bar
- 0,5 è il valore sotto il quale non è stata osservata alcuna tossicità da Ossigeno
- 0,83 è un esponente che adatta i risultati della formula a quelli delle osservazioni sperimentali
In linea di massima si può dire che 1 OTU equivale all’esposizione di un minuto ad 1 bar di O2.
Dalle sperimentazioni effettuate scaturisce, come linea guida la seguente tabella:
Giorni 1 2 3 4 5 6 7 8
OTU/giorno 850 700 700 620 525 460 420 380
Totale OTU 850 1400 1860 1860 2100 2300 2520 2660
La massima quantità di OTU consentita per un’immersione è 850 (praticamente più di 14 ore trascorse respirando ossigeno alla pressione parziale di 1bar), ma in caso di immersioni ripetitive è necessario rimanere all’interno dei valori per queste indicati: ciò non comporta, comunque, alcun problema per la subacquea ricreativa.
Per un’attività subacquea continuativa (lavoro subacqueo) è consigliato non superare il limite di 300 OTU al giorno, equivalenti in sostanza a 5 ore di esposizione ad una PpO2 di 1 bar.
Clinicamente vengono distinte tre fasi:
. I fase asintomatica con riduzione della capacità vitale del 2%, valore di UPTD di 615 reversibile
. II fase caratterizzata da alterazioni delle prime vie respiratorie che si manifesta con una sintomatologia di tracheo-bronchite con bruciori retro sternali, tosse secca e stizzosa e difficoltà ad effettuare inspirazioni profonde che compare dopo 10 ore di esposizione continuativa ad ossigeno ad 1 ATA e, riduzione della capacità vitale del 10%, valori di UPTD di 1425, reversibile ed ancora qualora la capacità vitale si riduca fino al 40% .
. III fase caratterizzata da insufficienza respiratoria acuta, edema polmonare, diminuzione dei volumi polmonari e grave danno polmonare (ARDS), che può evolvere se ulteriormente esposto a ossigeno a fibrosi interstiziale polmonare con diffuse aree emorragiche ed atelectasiche maggiori o uguali a 1425 OTU. La terapia in questo caso non è di emergenza subacquea, ma di interesse clinico dovuto all’esposizione del soggetto e/o paziente all’ambiente iperbarico a secco.
La narcosi da azoto (estasi dell’abisso) è causata da un’elevata pressione parziale dell’azoto.
I sintomi sono simili a quelli dell’ebbrezza da alcol. La vittima mostra scarsa capacità di giudizio, è disorientata e spesso euforica; può non essere in grado di tornare in superficie in tempo o, addirittura, nuota verso il fondo, pensando di riemergere. In molti subacquei che respirano aria compressa questo effetto diventa rilevabile a circa 30 metri e, di solito, a 90 metri diventa invalidante.
Per mitigare questi effetti, coloro che devono scendere a grandi profondità respirano di solito una particolare miscela di gas, piuttosto che aria normale. Si utilizzano basse concentrazioni di ossigeno, diluite con elio o idrogeno invece dell’azoto, perché questi gas non provocano narcosi. L’immersione con elio a profondità superiori a 150-180 m può scatenare una sindrome nervosa da alta pressione. Questa si risolve durante la risalita, che deve avvenire a una velocità debitamente bassa in modo da evitare la malattia da decompressione.
Alcuni subacquei sportivi subiscono un’intossicazione da anidride carbonica perché non aumentano la respirazione in modo adeguato durante lo sforzo. Altri trattengono l’anidride carbonica perché l’aria compressa in profondità è più densa e richiede un maggiore sforzo per attraversare l’apparato respiratorio. Anche la riduzione volontaria della frequenza respiratoria per risparmiare aria (“skip breathing”, o respirazione intermittente) può causare un accumulo di anidride carbonica nel sangue. Un’avaria in un autorespiratore a circuito chiuso o semichiuso è un’altra potenziale causa di tossicità da anidride carbonica.
Un accumulo di anidride carbonica nel sangue è il segnale trasmesso al corpo per respirare. I subacquei, come i praticanti di snorkeling, che trattengono il respiro invece di usare un autorespiratore, spesso respirano in modo energico (iperventilazione intenzionale) prima dell’immersione, espirando una grande quantità di anidride carbonica, ma fornendo poco ossigeno al sangue.
Questa manovra permette loro di trattenere il respiro e di nuotare a lungo sott’acqua, poiché i livelli di anidride carbonica sono ridotti. Tuttavia, questa manovra (definita apnea subacquea pericolosa) è anche rischiosa, poiché il subacqueo può terminare l’ossigeno e perdere conoscenza (sincope da apnea o sincope da ipossia) prima che l’anidride carbonica raggiunga un livello sufficiente a segnalare la necessità di tornare in superficie e respirare. Questa sequenza di eventi è probabilmente alla base di molti annegamenti inspiegabili tra coloro che partecipano a gare di pesca subacquea e che praticano immersioni in apnea o nuotano sott’acqua.
L’iperventilazione prima del nuoto subacqueo, nel tentativo di aumentare il tempo di apnea, può aumentare il rischio di annegamento.
Tra i sintomi di tossicità da anidride carbonica si annoverano:
Cefalee
Difficoltà respiratoria
Nausea
Vomito
Rossore
Alti livelli di anidride carbonica possono provocare perdita di coscienza, aumentano la probabilità di convulsioni da intossicazione da ossigeno e peggiorano la gravità della narcosi da azoto. I subacquei che presentano frequentemente cefalea dopo l’immersione o coloro che si vantano di usare poca aria, probabilmente, trattengono anidride carbonica.
L’anidride carbonica di solito diminuisce gradualmente durante la risalita. Se si avvertono sintomi durante l’immersione è opportuno tornare gradualmente in superficie. Le persone che normalmente soffrono di cefalea dopo l’immersione potrebbero dover modificare la loro tecnica.
Il monossido di carbonio è un prodotto della combustione. Il monossido di carbonio può entrare nell’aria di un subacqueo se la valvola di ingresso del compressore è troppo vicina allo scarico di un motore o se il lubrificante di un compressore che non funziona bene si riscalda tanto da bruciare parzialmente, producendo monossido di carbonio.
I sintomi includono nausea, cefalea, debolezza, goffaggine e stato confusionale, e, nei casi più gravi di avvelenamento da monossido di carbonio, convulsioni, perdita di coscienza o coma. La diagnosi avviene mediante esame del sangue. Con il passare del tempo il livello ematico diminuisce, quindi l’analisi deve essere eseguita appena possibile per formulare la diagnosi. Inoltre si può esaminare anche la riserva d’aria del subacqueo per l’eventuale presenza di monossido di carbonio.
Si somministra ossigeno. Alti livelli di ossigeno facilitano l’eliminazione del monossido di carbonio dal sangue, ma non sempre risolvono il danno organico. Per i pazienti gravemente intossicati può essere indicata l’ossigenoterapia ad alta pressione in camera iperbarica, disponibile presso certi centri medici.
Le immersioni oltre i 150-180 metri di profondità causano una serie di sintomi neurologici scarsamente compresi, specie se la discesa è rapida e il subacqueo respira una miscela di elio e ossigeno. I sintomi comprendono nausea, vomito, tremori, goffaggine, vertigini, affaticamento, sonnolenza, spasmi muscolari, crampi allo stomaco e stato confusionale. La sindrome si risolve spontaneamente con la risalita o rallentando la discesa.